Verità e dubbi sul soggetto del ritratto e sul suo autore
Sembra che in realtà la giovane dipinta non sia Beatrice Cenci prima dell’esecuzione della condanna a morte e l’autore non sia Guido Reni.

“In questo volto della Cenci c’è più di quanto abbia mai visto in ogni altro volto umano”, cosi confidava Goethe all’amico Zimmermann nel 1777.
Il volto era quello di Beatrice Cenci, la sfortunata patrizia romana giustiziata per parricidio a Roma nel 1599, che, secondo una tradizione attestata nel XVIII secolo, sarebbe stata ritratta da Guido Reni alla vigilia dell’esecuzione.
Prima di passare ai Barberini, nel 1818, il quadro si trovava nella collezione Colonna, dove compare dal 1783, ma già prima d’allora l’immagine doveva essere popolare grazie a una serie di copie, come quelle di Friedrich G. Naumann.
In realtà, la fortuna del ritratto non dipendeva solo dall’aspetto dell’angelica figura, e se Lavater aveva scritto nei suoi Physiognomische Fragmente (1778) che la giovane appariva “incapace di qualunque disegno malevolo” era perché aveva in mente la tragica storia riportata in auge dal Muratori negli Annali d’Italia (1749), in cui Beatrice appare vittima delle “disordinate voglie” del padre e dell’impietoso rigore del Papa. Ciò alimentò la fervida immaginazione romantica, che nell’Ottocento celebrò l’infelice eroina attraverso le pagine di Hawthorne, Melville, Dickens, Stendhal, Shelley, facendo del ritratto un vero e proprio oggetto di culto e pellegrinaggio, fino alle più recenti letture di Artaud e Moravia.

In verità, dubbi sul soggetto e l’autore dell’opera non mancavano, a cominciare dall’idea che una condannata a morte in quelle circostanze potesse essere stata effigiata da un pittore. Oggi l’attribuzione a Reni e generalmente respinta, e l’ipotesi più recente è che l’anonimo ritratto, forse in veste di sibilla, possa ascriversi alla bolognese Ginevra Cantofoli.
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