Il santuario dell’Ara della Regina
Museo archeologico di Tarquinia
Intorno al 400-390 a.C. fu costruito sul pianoro della Civita a Tarquinia il più grande tempio d’Etruria, conosciuto come Ara della Regina.
L’edificio, che incorporò due templi precedenti del 570 e del 530 a.C., sorgeva su un alto podio risultando ben visibile da lontano e presentava sulla fronte una vasta terrazza interrotta da una scenografica scalinata.
La pianta era costituita da una cella preceduta da un pronao con quattro colonne e fiancheggiata da due corridoi.

Il tetto in legno era rivestito di terrecotte architettoniche riccamente colorate; il frontone era aperto e l’altorilievo con i cavalli alati decorava la testata del trave di sinistra alla quale era fissato con grandi chiodi bronzei.
Secondo alcuni studiosi la decorazione frontonale si ricollegava alle origini mitiche della città il personaggio sul carro, non conservato, è identificato come Tinia (Giove) o Hercle (Ercole) che ritorna all’Olimpo sul carro.


Rinvenuto nel 1938 durante gli scavi di Pietro Romanelli, l’opera è universalmente riconosciuta come uno dei maggiori capolavori della scultura etrusca in terracotta, ormai assurto a simbolo della città di Tarquinia.
Pietro Romanelli, rinvenì a circa 3 metri di profondità i numerosi frammenti della lastra – un centinaio – i cui delicati disegni a china illustrano il giornale di scavo. Rapidamente e sapientemente restaurato, già alla fine di ottobre dello stesso anno il gruppo veniva esposto nelle sale del Museo tarquiniese: recentemente – a più di 60 anni dalla scoperta – i “cavalli alati” sono stati sottoposti ad un nuovo generale e moderno intervento conservativo che permette di meglio apprezzarne la straordinaria fattura.
La lastra – alta metri 1,15 e larga metri 1,25 – era in origine applicata alla testata del trave sinistro del triangolo frontonale della facciata del tempio: il suo margine superiore, tagliato obliquamente, ricalca infatti l’inclinazione di quello del grande trave di legno. Gli animali, magistralmente modellati a mano, si distaccano progressivamente dalla lastra di fondo: inizialmente a bassorilievo fino a divenire a tutto tondo all’altezza delle teste e delle ali. L’altorilievo era fissato alla struttura lignea del tetto mediante numerosi lunghi chiodi di bronzo alcuni dei quali – recuperati nello scavo – in occasione del recente restauro sono stati reinseriti nei fori originali. La scultura era arricchita da una vivace policromia di cui restano abbondanti tracce.


I cavalli, volti a sinistra con le froge dilatate e la bocca semiaperta, fremono impazienti pronti a spiccare il volo; le criniere, corte e folte, si spartiscono alla sommità del capo; le lunghe code sono annodate in alto.
Riccamente bardati gli animali erano aggiogati ad una biga, di cui resta il solo timone, montata verosimilmente da un eroe o da una divinità: il carro doveva decorare una seconda lastra affiancata sulla destra a quella con i destrieri ma della quale purtroppo lo scavo non restituì alcun frammento. Difficile, dati i pochi elementi rimasti, l’interpretazione del programma figurativo rappresentato nella decorazione del frontone ma – per analogia con i santuari urbani di altre città etrusche – esso doveva in qualche modo ricollegarsi alle origini della città e ai suoi miti di fondazione.
I “cavalli alati” di Tarquinia sono opera di un artigiano etrusco che nel plasmarli – nei decenni iniziali del IV sec a.C. – mostra una perfetta conoscenza della scultura greca di età classica ma resta nel contempo profondamente legato alla tradizione locale come rivelano la sproporzione volumetrica dei colli e delle teste rispetto al resto dei corpi esili e allungati, la voluta accentuazione delle annotazioni anatomiche, il gusto decorativo dei monili etc.
Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia – Palazzo Vitelleschi
Indirizzo: Piazza Cavour, 1a, 01016 Tarquinia VT
web: https://pact.cultura.gov.it/museo-archeologico-nazionale-di-tarquinia/
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