Il ratto di Proserpina

Descrizione dell’opera

Bernini mette in scena il rapimento della giovanissima Proserpina da parte di Plutone, re degli Inferi, avvenuto mentre la fanciulla raccoglieva fiori con le compagne presso la riva del lago di Pergusa, vicino Enna.

Il dio, con la corona e la folta barba inanellata in lunghi riccioli, sembra essere appena salito dal regno dei morti, portando con sé Cerbero, il feroce mastino a tre teste, che ha lasciato il suo compito di guardiano per seguirlo in questa poco eroica impresa: per afferrare al volo la ragazza, che tenta di divincolarsi, Plutone ha fatto cadere a terra il bidente.

La collocazione del Ratto nel Palazzo di Villa Ludovisi davanti a una porta, che rimandava forse a quella degli Inferi, contribuiva ad accrescere la suggestione del racconto. La favola – come ben sapevano i raffinati frequentatori ammessi alla visione della collezione del cardinal Borghese prima e di quella Ludovisi poi – si conclude con l’intercessione di Giove affinché Proserpina torni sei mesi l’anno (la primavera e l’estate) sulla terra, in modo da placare l’ira della madre Cerere.

L’interpretazione simbolica del tempo

Il tema, narrato da Ovidio nel V libro delle Metamorfosi e ampiamente ripreso da Claudiano nel De raptu Proserpinae, era particolarmente amato dal committente, che aveva nella sua collezione diversi bassorilievi antichi con lo stesso soggetto.

Come a breve sarebbe accaduto per Apollo e Dafne, Scipione fece incidere sulla perduta base della scultura un distico latino scritto dall’amico Maffeo Barberini, che redi. tava “Quisquis humi pronus flores legis, in-spice, saevi / me Ditis ad domum rapi” (trad. “Chiunque tu sia che prono a terra raccogli fiori, guardami mentre sono rapita per la dimora del crudele Plutone”).

I versi sono tratti da una raccolta manoscritta, intitolata Dodici distichi per una Gallaria, nella quale il cardinale Barberini descrive appunto dodici soggetti da dipingere in un’immaginaria galleria.

I distici dovevano fornire la corretta chiave di lettura della favola pagana, esortando a non attardarsi a raccogliere fiori e ad abbandonare i piaceri mondani: la sventurata Proserpina era stata trascinata negli Inferi a causa della sua colpevole distrazione.

In un senso più ampio la scultura e la poesia raccontavano insieme l’alternanza delle stagioni, la precarietà dell’esistenza e la resurrezione dell’anima, un tema certo più adatto alla villa di un cardinale rispetto a quello del violento rapimento di una fanciulla. L’iscrizione, che completava il significato del gruppo, si prestò forse a essere interpretata anche come un sottile avvertimento per il nuovo cardinal nipote che lo ricevette in dono, un invito a esercitare con moderazione il potere.

Citazioni e influenze

Bernini fu certo consapevole delle dotte elucubrazioni dei suoi mecenati, ma si concentrò sulla sfida di fissare nel marmo un’azione complessa: Plutone vede la ragazza, la desidera e la prende (” paene simul visa est dilectaque raptaque Diti”, aveva scritto Ovidio), ma Proserpina si ribella, piange, la veste le scivola via, cerca di liberarsi, mentre il dio rinforza la presa fino ad affondare le dita nella morbida carne.

Il giovane artista riprese il tema di una figura che ne solleva un’altra, già affrontato nell’Enea e Anchise, ma qui il lento incedere del virtuoso eroe è diventato il balzo rapace del dio e le braccia parallele dei protagonisti esercitano due forze contrarie, conferendo dinamismo all’azione. Bernini si ricordò anche del celebre Ratto delle Sabine di Giambologna, il cui movimento avvitato è però trasformato in un’opposizione di curve tangenti, definite dall’inarcarsi dei corpi nudi.

Per la sua Proserpina cercò ispirazione nella pittura, citò Taddeo Zuccari nella Sala della Primavera del Palazzo Farnese di Caprarola, ma soprattutto tenne a mente la calda sensualità delle figure femminili di Rubens, dalla Susanna oggi in Galleria Borghese all’Orizia della tela di Vienna, dalla quale deriva il braccio allungato verso l’alto della fanciulla.

Proprio quel braccio destro, realizzato ignorando la regola di contenere la scultura all’interno del blocco di marmo, testimonia già a questa data il dominio assoluto della materia, un’abilità inarrivabile che obbliga la pietra a essere altro da sé.

Fonte: “Bernini. I grandi maestri dell’arte.” A cura di Maria Rodinò di Miglione. Scala Group editore, edizione 2024, pagine 22 e 24

Roma, Galleria Borghese
Piazzale Scipione Borghese 5,
00197 Roma, Italia
https://galleriaborghese.beniculturali.it/

Data: 1621-1622
Marmo, altezza 255 cm
Artista: Gian Lorenzo Bernini
Committente: Cardinale Scipione Borghese,  uno dei più importanti mecenati e collezionisti del primo seicento.

L’artista:

Gian Lorenzo Bernini

Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) è stato un eminente artista italiano famoso per il suo impatto sul barocco, eccellendo in scultura, architettura e pittura. Considerato un genio dai contemporanei, ha lasciato un’eredità duratura influenzando generazioni future, con opere iconiche come “Estasi di Santa Teresa” e il colonnato di San Pietro.

Enea, Anchise e Ascanio

La scultura di Bernini raffigura la fuga di Enea da Troia, simbolo di forza e politica, incarna la relazione tra vita e morte, gioventù e saggezza. Riferimenti a opere di Michelangelo e Raffaello arricchiscono il significato.

Fontana dei Quattro Fiumi

La Fontana dei Fiumi, realizzata da Bernini tra il 1647 e il 1651, celebra il potere papale tramite simboli dei fiumi e un obelisco. Rappresenta quattro continenti e riflette l’abilità architettonica dell’artista, integrandosi elegantemente nella piazza.

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