RAFFAELLO SANZIO (Urbino 1483 – Roma 1520)
La Fornarina – 1520 ca – Olio su tavola, 87 x 63 cm
Provenienza: Collezione Barberini, 1936
Della Fornarina Flaubert scrisse sbrigativamente: “Era una bella donna, inutile saperne di più”.

I giudizi sulla bellezza sono spesso variabili, ma gli storici si sono invece sforzati di sapere il più possibile della sfuggente identità della modella che posò per Raffaello, “persona molto amorosa et affezionata alle donne”, secondo Vasari, e in particolare a una “amata sua”, che egli avrebbe ritratto tra le altre. Tuttavia, di questa “Fornarina”, battezzata così solo nel XVIII secolo, si continua a sapere poco, forse anche perché il pittore non ha voluto dirci di più.

Raffaello è piuttosto interessato a sfruttare – per superarle – le convenzioni della ritrattistica femminile del suo tempo. Vediamo una donna qualunque, non una Venere o qualche altra divinità o personificazione, eppure la sua anonima individualità celebra in realtà, quasi per sostituzione vicaria, l’identità dello stesso pittore, nel duplice ruolo di artefice, che firma a chiare lettere la sua “creatura”, e di committente di sé stesso.

Raffaello sa che “ogni dipintore dipinge sé”, e se la Fornarina è il ritratto dell’amata, essa è pure l’immagine dell’amante, il quale per primo – come ricordavano letterati e filosofi del Cinquecento – è il ritratto della cosa ch’egli ama”. Che poi l’artista sia riuscito a creare in una sola opera un ritratto e un autoritratto è frutto di quella dissimulata sprezzatura allora teorizzata da Baldassarre Castiglione nel Cortegiano (1528). In fondo, ancora alla Fornarina avrebbe potuto pensare Flaubert quando esclamò: “Madame Bovary c’est moi”. Inutile chiedere di più.
Fonte: “Museo Nazionale Romano”, Soprintendenza Archeologica di Roma, a cura di Adriano La Regina, edizioni Electa 2007 pagina 42
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