Marco Aurelio, la morte per uno stoico

Esci quindi di scena sereno, poiché sereno è anche colui che ti congeda.

Marco Aurelio, “A me stesso”

Così scriveva Marco Aurelio a proposito dell’atteggiamento da tenere nei confronti della morte, in quello straordinario diario intimo che è l’unico libro che ci ha lasciato “A me stesso”.

Queste parole suonano ancora di più se si immagina la scena della morte che dovette affrontare l’imperatore. Moriva infatti in un accampamento al fronte, forse a Sirmio (nell’odierna Serbia) forse a Vindibona (oggi Vienna), il 17 marzo del 180 d.C., probabilmente di peste e consunzione. Coloro che gli erano intorno, spaventati dal possibile contagio, non gli diedero molto confronto e dalle cronache pare che neanche il figlio Commodo, abbia affrontato la paura per assistere il padre morente. Così Marco Aurelio smise di mangiare per accelerare la fine, morendo da vero stoico, così come era vissuto.

Venne sepolto a Roma nel Mausoleo di Adriano.
In suo onore venne eretta la colonna Antonina, oggi davanti a Palazzo Chigi.

La sua statua più famosa è al Campidoglio, uno dei pochissimi bronzi sopravvissuti alle fusioni del Medioevo perché scambiata per la statua di Costantino I.

La morte di Marco Aurelio nella Historia Augusta di Dione Cassio

“Se Marco fosse vissuto più a lungo, avrebbe sottomesso tutti quei territori; ma in realtà morì il diciassette di marzo, seppure non a causa della malattia da cui ancora allora era afflitto, bensì a causa dei medici che, come ho chiaramente sentito, volevano favorire l’ascesa di Commodo.

Quando si trovò in punto di morte, raccomandò quest’ultimo ai soldati (non voleva infatti che si credesse che egli fosse morto a causa di lui), e al tribuno militare che gli chiedeva la parola d’ordine, disse: «Rivolgiti al sole nascente, poiché io sto già tramontando!» Dopo la morte ricevette molti onori e nella curia stessa gli fu eretta una statua d’oro. […]

Che egli agisse sempre ricorrendo non alla simulazione ma alla virtù è un fatto noto: (5) infatti, pur avendo vissuto cinquantotto anni, dieci mesi e ventidue giorni, durante i quali dedicò molto tempo a collaborare con il predecessore Antonino [Pio], ed avendo retto l’impero per diciannove anni e undici giorni, rimase tuttavia sempre lo stesso e non cambiò affatto.

Così sinceramente era un uomo probo, estraneo ad ogni forma di simulazione. […] Tuttavia, a causa dell’assiduo studio e della sua applicazione, aveva un fisico molto debole, sebbene, almeno inizialmente, godesse di una salute così buona che combatteva in armi e, durante la caccia a cavallo, abbatteva dei cinghiali selvatici; inoltre scriveva di proprio pugno la maggior parte delle lettere indirizzate agli amici intimi non solo durante la sua prima giovinezza, ma anche in seguito. (3) In ogni caso non poté godere di quella fortuna che meritava perché non era fisicamente forte e perché dovette affrontare, per quasi tutta la durata del suo impero, moltissime difficoltà.

Proprio per questo lo ammiro maggiormente, appunto perché egli, anche in mezzo a vicende avverse e straordinarie, non solo sopravvisse, ma salvò anche l’impero. […]”

Per molti l’imperatore Marco Aurelio (161-180 d.C.) è stato la dimostrazione che fosse possibile avere al governo un filosofo capace di operare per il bene di tutti.

“Neppure la morte può incutere timore all’uomo per il quale è bene solo ciò che giunge al momento giusto, ed è lo stesso compiere il maggiore o il minor numero di azioni conformi alla retta ragione, ed è indifferente contemplare il mondo per più o meno tempo.

Uomo, sei stato cittadino di questa grande città; che t’importa se per cinque o cinquant’anni? Perché ciò che è in armonia con le sue leggi è equo per ogni uomo. Che v’è di tremendo, allora, se a mandarti adesso via dalla città non è un tiranno né un giudice iniquo, ma la stessa natura che ti ci aveva portato? E come se un attore fosse congedato dalla scena dallo stesso pretore che l’aveva prima ingaggiato. «Ma, di atti, ne ho recitati solo tre, non cinque.» «Certo. Ma nella vita anche tre atti possono essere l’intero dramma.» Perché colui che fissa il termine ultimo è lo stesso che fu un tempo responsabile della tua composizione, e ora della tua dissoluzione; mentre tu non sei responsabile né dell’una né dell’altra.

Esci quindi di scena sereno, poiché sereno è anche colui che ti congeda.”

Marco Aurelio – “A me stesso”

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