Il Tempio del Divo Giulio

Un Monumento alla Memoria di Cesare

Nel cuore del Foro Romano, tra le antiche rovine, sorge il Tempio del Divo Giulio (aedes Divi Iulii). Questo maestoso edificio fu eretto in onore di Gaio Giulio Cesare, il grande condottiero e statista romano, divinizzato dopo la sua morte. Cesare fu il primo romano, dopo Romolo, a ricevere tale onore, e il suo tempio divenne un simbolo tangibile della sua grandezza e del profondo impatto che ebbe sulla storia di Roma.

Storia e Costruzione del tempio

La storia del Tempio del Divo Giulio è intrecciata con gli eventi che seguirono l’assassinio di Cesare nel 44 a.C. Il 15 marzo, durante una seduta del Senato nella Curia di Pompeo, Cesare fu ucciso dai congiurati. Il suo corpo venne portato nel Foro, vicino alla Regia, dove si svolsero i suoi funerali. Qui fu eretto un altare, affiancato da una colonna con l’iscrizione “Parenti Patriae” (“al padre della patria”), che fu successivamente eliminata dal console Publio Cornelio Dolabella.

Il senato decretò la costruzione del tempio in onore di Cesare, su iniziativa dei triumviri, dopo la battaglia di Filippi, in cui i cesaricidi furono sconfitti e uccisi. L’edificio fu completato da Ottaviano, figlio adottivo di Cesare, e dedicato il 18 agosto del 29 a.C. Nel tempio furono custodite preziose opere del bottino conquistato durante la vittoria di Azio sull’Egitto di Cleopatra.

Descrizione del Tempio

Il Tempio del Divo Giulio presentava una struttura imponente, con colonne corinzie e un podio elevato. La decorazione architettonica era sontuosa, riflettendo l’importanza di Cesare. All’interno della cella, si trovavano opere d’arte e reliquie legate al condottiero.

Ma ciò che rende questo tempio ancora significativo è la sua attuale funzione di luogo di pellegrinaggio. Ancora oggi, molte persone portano fiori e lasciano biglietti nel luogo dove il corpo di Cesare fu bruciato. Questo gesto di devozione e rispetto continua a collegare il presente con il passato glorioso di Roma.

Il Discorso di Marco Antonio

Nel celebre dramma di William Shakespeare, “Giulio Cesare”, Marco Antonio pronuncia un appassionato discorso funebre sul corpo di Cesare, presumibilmente nel luogo dove la salma sarebbe stata bruciata e dove successivamente sarebbe sorto il Tempio. Si tratta di un capolavoro di eloquenza. Marco Antonio sale sul podio dopo un bellissimo discorso in cui Bruto ha esposto le sue ragioni e ha portato il popolo dalla parte dei congiurati. Marco Antonio, partendo da una situazione di svantaggio, attua una strategia oratoria vincente. Partendo dalla celebre frase:

Non parlo io già per contestare quello che Bruto ha detto; sono qui per dire soltanto quello che so. Tutti lo amaste un tempo; e non senza motivo. Quale motivo vi impedisce oggi di piangerlo?

Marco Antonio, al contrario di Bruto, non fa leva sulla ragione, ma sul sentimento.

Non sono un oratore com’è Bruto; bensì, quale tutti mi conoscete, un uomo semplice e franco, che ama il suo amico; e ciò ben sanno coloro che mi han dato il permesso di parlare in pubblico di lui: perché io non ho né l’ingegno, ne la facondia, né l’abilità, né il gesto, né l’accento, né la potenza di parola per scaldare il sangue degli uomini: io non parlo che alla buona; vi dico ciò che voi stessi sapete; vi mostro le ferite del dolce Cesare, povere, povere bocche mute, e chiedo loro di parlare per me: ma se io fossi Bruto, e Bruto Antonio, allora vi sarebbe un Antonio che sommoverebbe gli animi vostri e porrebbe una lingua in ogni ferita di Cesare, così da spingere le pietre di Roma a insorgere e ribellarsi. 

Prima commuove, poi sobilla ed infine incita il popolo alla rivolta, usando anche l’arma segreta del testamento di Cesare.

Il dramma shakespeariano si basa su fatti documentati storicamente. Cesare aveva infatti lasciato al popolo, nel suo testamento, 300 sesterzi ad ogni cittadino romano e la proprietà dei suoi magnifici giardini. Il giorno del funerale ci furono grandiose manifestazioni di dolore pubblico come ci riporta Svetonio: i veterani delle sue legioni, gettarono nella pira ardente, le armi con le quali se erano parati per la cerimonia. Alcune matrone gettarono nella pira i gioielli che portavano addosso. Le colonie di stranieri, ciascuna a suo modo, espressero separatamente il proprio cordoglio.

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