Il giardino concepito come un microcosmo
Il complesso della Serra e Torre Moresca, con annessa una grandiosa Grotta artificiale, è stato realizzato tra il 1839 e 1841 su progetto dell’architetto paesaggista Giuseppe Jappelli con la collaborazione di Giacomo Caneva.
Era concepito per creare una “scena” di carattere esotico, nell’ambito della sistemazione “all’inglese” dell’area meridionale del parco voluta dal principe Alessandro Torlonia, e mirava ad adeguare la villa a quella tipologia di giardino che prevedeva percorsi articolati e manufatti eclettici.
Infatti le architetture si richiamano a quelle arabeggianti dell’Alhambra di Granada e la vegetazione circostante, con palme, agavi e aloe, è tipica delle aree secche ed aride, con un evidente contrasto con la vicina “scena” della Capanna Svizzera (oggi Casina delle Civette) che evoca invece climi montani.
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Alla fantasmagoria della Serra e della Torre, con un apparato decorativo di vetrate in brillanti colori, stucchi e dipinti parietali, fa riscontro, sul retro, l’area ombrosa e umida della Grotta artificiale, della quale alcuni grandi speroni di tufo e muratura superstiti testimoniano dimensioni e spettacolarità.
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Diverse erano le funzioni: la Serra ospitava piante esotiche e rare ma poteva anche accogliere eventi mondani; la Torre doveva stupire gli ospiti con le decorazioni ma soprattutto con il meccanismo del tavolino apparecchiato che, tramite un’apertura nel pavimento, saliva direttamente dalla sottostante cucina, mentre la Grotta richiamava i mitici antri muschiosi abitati dalle ninfe.
Dopo decenni di abbandono, un impegnativo progetto di restauro ed adeguamento funzionale permette oggi di rivivere, almeno in parte, l’atmosfera incantata di un’area tra le più innovative ed originali della villa.
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Giuseppe Jappelli (Venezia, 14 maggio 1783 – Venezia, 8 maggio 1852) è stato un ingegnere, architetto e paesaggista italiano.
Fu tra i massimi esponenti dello stile neoclassico nel Veneto, fu particolarmente noto come progettista di giardini romantici e massonici .
La sfida di Jappelli, aderente alla Massoneria fin dal 1806 e convinto sostenitore degli ideali illuministi, era quella di progettare non degli interventi isolati, ma piuttosto di integrarli in una dimensione tendente a riprogettare lo spazio urbano come un unico insieme di attività, di abitazioni e di servizi, ma il loro carattere utopistico e colossale, e il conservatorismo del mondo politico austriaco, fecero sì che tutti i progetti, tranne quello del macello comunale di Padova, rimanessero sulla carta.
Nonostante la sua vocazione frustrata di urbanista Jappelli ebbe molte commissioni da persone che lo stimavano ed appartenevano alla nobiltà e borghesia aderente agli ideali illuministici ed occultamente alle società latomistiche molti di loro della comunità ebraica che finalmente dopo Napoleone aveva ottenuto più libertà e la possibilità di essere proprietaria di terrene e case .
Negli anni 30 e 40 dell’800 Jappelli ebbe l’opportunità di compiere alcuni viaggi in Inghilterra e in Francia, esperienza fondamentale per una persona attenta e curiosa come lui per l’acquisizione di spunti e idee dall’architettura neogotica e dell’uso di piante esotiche particolarmente cinesi e giapponesi che poi userà molto nei suoi giardini.